Giorno del Debito Ecologico: cos’è e come ritardarlo
Earth Overshoot Day, da cui deriva l’italiano “Giorno del debito ecologico” è una frase pronunciata per la prima volta nel 2003 dal Global Footprint Network, organizzazione non profit; ma si potrebbe utilizzare anche il più chiaro sovrasfruttamento della Terra; o ancora sforamento terrestre.
Chiamatelo come volete, ma c’è da sapere che l’overshoot day è tutt’altro che un giorno da festeggiare, bensì è più paragonabile al giorno della vergogna!
Ogni anno è una data che via via va ad anticiparsi sempre più: stavolta (2023) capiterà addirittura il 2 Agosto!
Certamente non è sempre stato così: ad esempio nel 1973 il giorno del debito ecologico ricadeva il 3 Dicembre.
Ve lo spiego in maniera semplicistica: facciamo finta che siate un bambino e vostra madre (Madre Terra) metta da parte per voi 365 biscotti da consumare durante l’anno; dopo qualche anno, diciamo che a voi non basta più un solo biscotto al giorno; purtroppo la mamma non può produrne altri; non perché sia cattiva, intendiamoci, semplicemente possiede solo una determinata quantità di risorse: non ha sufficiente farina, zucchero, burro eccetera e il suo forno non può sfornare più di un biscotto al giorno. Quando terminate tutti i biscotti che dovevate farvi bastare per tutto l’anno, (in questo caso il 2 agosto) i rimanenti 151 giorni inizierete a rubare i biscotti dal patrimonio che i vostri avi hanno custodito per il vostro stesso futuro e delle generazioni a venire.
Vediamo i motivi per cui un biscotto al giorno non ci basta più; ovvero perché le cose sono precipitate in soli 50 anni.
L’Antropocene e overshoot day
Coniato solo nel 2000, il termine Antropocene (era dell’umanità) secondo alcuni inizia nell’Ottocento, con la rivoluzione industriale.
Anche se ufficialmente ci troviamo nell’Olocene (l’epoca geologica più recente, iniziata circa 11.700 anni fa), visto che le attività umane sono in grado di rimodellare la Terra, capaci di influenzare l’ecologia terrestre, alterando le sue proprietà biologiche, fisiche e chimiche, principalmente per le emissioni del diossido di carbonio e metano nell’atmosfera.
Benché l’antropocene abbia circa 200 anni (comunque una nullità rispetto all’età della Terra) i suoi effetti deleteri si sono fatti più evidenti solo negli ultimi 50 anni, generando ciò che chiamiamo convenzionalmente il debito ecologico.
In questi ultimi decenni l’impatto antropico ha subito un’accelerazione esponenziale, dovuta sia alla crescita demografica (da circa 4 miliardi negli anni 70, agli attuali 8 miliardi) che al sovrasfruttamento della biocapacità della Terra. Fino agli anni 70 la biocapacità era in grado di soddisfare le esigenze degli esseri umani; tant’è che il giorno dello sforamento terrestre capitava come detto il 3 dicembre (nel ‘73).
Ma quando abbiamo iniziato a confondere l’avidità con la modernità, in nome dello sviluppo e crescita illimitata, le cose hanno iniziato a precipitare: oggi, per poter sostenere i nostri ritmi produttivi, abbiamo bisogno di circa 1,75 Terre!
Sì, avete capito bene: quasi 2 pianeti Terra.
Ed è così che il fatidico giorno si è spostato dal 3 dicembre al 2 agosto, in appena 50 anni di ritmi folli.
Ma come si calcola questa data?
Come viene calcolato il giorno del debito ecologico
La determinazione della data dell’overshoot day non è una scienza esatta; più che altro si tratta di una realistica stima della situazione ecologica.
La formula utilizzata per calcolare detta stima è la seguente:
Qui con la Biocapacità del pianeta si intende la quantità di risorse rinnovabili che la Terra può fornire nell’anno calcolato; e con l’Impronta ecologica dell’umanità invece si fa riferimento alla quantità di risorse che l’umanità consuma in quell’anno; infine moltiplicando la percentuale così ottenuta per 365, si addiviene al giorno dell’overshoot day.
Come le nostre scelte alimentari influenzano l’Overshoot Day
Esiste una correlazione significativa tra le nostre scelte alimentari e la determinazione del giorno del superamento terrestre, visto che l’attuale sistema alimentare, così come d’altronde gli altri settori, è basato sull’iperproduzione e iperconsumismo: più teniamo il piede sull’acceleratore, più presto arriverà l’overshoot day.
PER SAPERE DI PIU’ SUL CONSUMISMO ALIMENTARE PUOI LEGGERE QUI
Adottando l’opulenza alimentare come stile di vita e di commercio, oltre a danneggiare la nostra salute, ecco cosa provochiamo:
– spremiamo le risorse del pianeta;
– inquiniamo acqua e aria;
– generiamo un’enorme impronta di carbonio;
– causiamo una minaccia alla biodiversità;
– procuriamo un preoccupante depauperamento del suolo.
Se possibile, c’è una cosa ancor più tragica: non utilizziamo nemmeno tutto ciò che produciamo; tant’è che lo spreco del cibo riguarda circa un terzo della produzione.
Cosa possiamo fare per ritardare l’arrivo dell’overshoot day
Non siamo ancora senza soluzioni, non siamo ancora ad un punto di non ritorno; tuttavia per ritardare l’arrivo di detta data, dobbiamo agire tutti e senza perdere altro tempo.
A tal proposito esiste un movimento internazionale, conosciuto con l’hashtag #movethedate.
L’aspetto più interessante della faccenda è che non dobbiamo effettuare rinunce indicibili; nemmeno ritornare indietro di 50 anni!
La tecnologia da una parte, il desiderio di far parte della soluzione dall’altra(effettuando tutti quanti un qualche correttivo alla propria vita) ci consentirebbero di rimandare il giorno del debito ecologico: ogni anno di 5,7 giorni!
In tal modo, ci presenteremmo al temuto appuntamento con il 2050 (quando supereremo con molta probabilità i 10 miliardi di persone), senza più alcun debito con il pianeta Terra.
No, non è regolamentando le nascite nei paesi poveri che si può invertire la rotta; ci riusciremmo solo diminuendo i nostri consumi, di praticamente ogni cosa superflua (noi che viviamo nei paesi cosiddetti industrializzati).
NON CI OCCORRONO: nuove macchine, pur se elettriche; evitiamo viaggi mordi e fuggi verso terre lontane, quando ancora non abbiamo visitato i siti rilevanti della propria città, o, al limite, del proprio paese; arredamenti e guardaroba da rinnovare ogni anno, al grido cambiare è bello; quel genere di aggeggi e cianfrusaglia chiamati “cineseria”; per non parlare dell’acquisto di roba inutile solo perché costa poco, o perché comprare ci fa sentire vivi; “comodissimi e igienicissimi” oggetti usa-getta; cellulari e televisori sempre più performanti per alienarci e allontanarci ancora di più dalla natura; le bici o monopattini elettrici – quando un po’ di sano moto non farebbe male a nessuno.
E per ultima, ma forse più importante, la nostra sconsiderata opulenza alimentare. Lasciando stare gli stupidi estremi dei fenomeni social (tipo l’ingurgitare 40 hamburger uno dopo l’altro per puro esibizionismo), va detto apertamente che siamo colpevoli un po’ tutti: la metà della biocapacità dell’intero pianeta è attualmente impiegata per produrre cibo destinato solo ai pochi di cui sopra; noi, abitanti privilegiati e viziati dei paesi benestanti.
Come si effettua la decrescita alimentare: con pane e cipolla?
La decrescita alimentare non significa nutrirsi con un pugno di riso; ma riducendo semplicemente ciò che mangiamo normalmente, mantenendo ugualmente (anzi di più) un’alimentazione sana, variegata e ricca di sapori, nutrienti e bontà.
– Riduciamo il consumo della carne: secondo il Global Footprint Network, eliminare il consumo di carne un giorno alla settimana, sposterebbe l’Overshoot Day di 1,8 giorni.
Se invece riuscissimo a essere un po’ più “virtuosi”, dimezzando la produzione della carne, potremmo arretrare addirittura di 17 giorni. Un traguardo che oltre al pianeta farebbe bene anche alla nostra salute: la carne allevata intensivamente non possiede la qualità, né tanto meno alcun nesso, con le millentate eccellenze tradizionali: se vuoi sapere tutta la verità leggi l’approfondimento.
– Smettiamo di sprecare il cibo: come spiegavo nell’articolo dedicato, sprechiamo il cibo spesso perché non lo paghiamo abbastanza.
Invece del grano essiccato, “aromatizzato al glifosato”, proveniente dal Canada, dal costo ddi 1 euro al chilo, puntiamo alla qualità e scegliamo i grani antichi coltivati in Italia; è vero, costano almeno il doppio, ma proprio per questo sono certa che nessuno vorrà più sprecare una briciola di pane.
Dimezzare globalmente lo spreco alimentare, oltre a renderci più civili, ci farebbe guadagnare ben 13 giorni.
PER SAPERE COME EVITARE IL GLIFOSATO LEGGI QUESTO ARTICOLO
– Scegliamo cibo locale: specialmente noi che viviamo nella parte fortunata della Terra, non abbiamo alcun bisogno di importare cibo.
Rinunciare alle fragole per il Capodanno, non ci reca alcun danno; tanto meno ostinarsi ad averle nel frigo tutti i 12 mesi, non fa bene al futuro dei nostri figli.
Pertanto, rifornendoci localmente per l’80% del nostro cibo, la data si sposterebbe di 1,6 giorni.
– Prediligiamo alimenti provenienti dalle buone pratiche agricole: ad esempio le rigenerative, consistono in un insieme di accorgimenti comprendenti il compostaggio, la rotazione delle colture, le coltivazioni di copertura; utilizzo dei letami ecologici, la riduzione della lavorazione del suolo e/o la produzione biologica; tutte insieme migliorano la biocapacità.
Inoltre, le pratiche rigenerative aumentano il sequestro di carbonio nel suolo, ripristinano la biodiversità e infine rigenerano il topsoil.
Grazie all’agricoltura rigenerativa, per il 2050 l’overshoot day indietreggerebbe di altri 2 giorni.
– Diciamo no al cibo industriale: perché crea dipendenza con la sua finta economicità (la vera bolletta la paga il nostro pianeta); e il suo gusto “artificialmente esaltato” incentiva a mangiare senza controllo; ciò ridcue di conseguenza la capacità di apprezzare i sapori genuini. In pratica, a causa dei processi invasivi fisici, chimici e biologici, utilizzati per renderlo appetibile, il cibo industriale intossica noi, il pianeta e il futuro.
In aggiunta a quanto elencato sin qui, noi tutti potremmo fare ancora di più; difatti se oltre alle pratiche rigenerative e agroecologiche preferissimo un’alimentazione di origine vegetale, potremmo spostare l’overshoot day 32 giorni più in là.
In conclusione e in linea con quanto diffondo da oltre 3 anni tramite CHE Food Revolution, il concetto è prendere atto delle enormi responsabilità che siamo chiamati ad assumerci; per il bene di noi stessi e il futuro nostro e delle generazioni che verranno; e lo si può fare implementando le buone abitudini appena descritte, e impostando la vita sul:
Ridurre ciò che compriamo, Riutilizzare quel che possediamo e Riciclare le cose che che non ci servono (davvero) più.
Io e mio marito siamo “testimonial” orgogliosi di tale approccio, aggiungendo un’altra R, quella di Rebound: una vecchia barca con una triste storia, ma che non vede l’ora di diventare la nostra futura casa galleggiante. Per saperne di più sul 3R Project vi invito a visitare la pagina dedicata.
Cosa hanno i jamaicani che noi non abbiamo?
La domanda è lecita, in quanto se noi potessimo vivere come un jamaicano, il giorno del debito ecologico si posticiperebbe di colpo al 20 Dicembre: praticamente un salto temporale di circa 50 anni.
Dunque cosa hanno loro, o meglio, cosa non hanno?
Di certo hanno una media densità di popolazione (3 milioni abitanti per una superficie di 11 mila chilometri quadrati): ma da solo questo parametro non reggerebbe, in quanto paesi come il Portogallo, (dove passo attualmente gran parte dell’anno) non avrebbe l’overshoot day al 7 maggio, nonostante una densità di popolazione pari a meno della metà della Jamaica.
In realtà l’aspetto che rende speciale questa splendida isola tropicale, è, paradossalmente, il suo bassissimo PIL: sempre confrontandola con il Portogallo, parliamo di una produzione interna lorda di circa 15 miliardi di dollari, contro i 252 miliardi di dollari dei lusitani.
Sì, sono molto poveri; tuttavia, come recita il noto adagio, dimostrano nella realtà quanto “i soldi non portino la felicità” (non necessariamente); i jamaicani però non sono tristi, tutt’altro; ce lo dice una classifica, quella della felicità percepita dalla popolazione, basata su vari parametri: PIL pro capite, supporto sociale, aspettativa di vita, libertà di compiere le proprie scelte di vita e la corruzione.
Ebbene, secondo questa lista, la Jamaica si trova solo pochi gradini più in basso del Portogallo (63° contro 56°); e la prova provata che conferma il vecchio proverbio è l’esempio di Hong Kong: con un PIL di circa 1700 miliardi di dollari, a felicità si posiziona ben al di sotto persino della Jamaica (80° posto).
E la cosa ancora più tragica è che il giorno del debito ecologico per Hong Kong, quest’anno è arrivato il 25 Marzo.
E l’Italia?
A quanto pare gli abitanti del Bel Paese sono molto più felici dei jamaicani (30° posto), ma al prezzo salato in termini di overshoot day: 15 Maggio! Come dire, “una felicità insostenibile”.
Se però poi consideriamo che al primo posto della felicità abbiamo, un po’ grottescamente, la Finlandia… ebbene, mi sembra chiaro quanto il concetto di “felicità”, ovvero uno stato d’animo, non si possa davvero calcolare con dei semplici numeri; con tutto il rispetto per i “felicissimi” finlandesi.
A mio avviso c’è un altro dato che aiuterebbe a comprendere sul serio la felicità, forse più realistico e tristemente concreto: il tasso di suicidi.
Difatti scopriamo che in Finlandia c’è un tasso di 14 suicidi ogni 100.000 abitanti; in Italia 6; in Jamaica… 2. Chi è più felice quindi?
Tornando all’argomento principe, l’overshoot day, possiamo dedurne persino una forte connessione con la vera felicità: la salute del nostro habitat, direttamente proporzionato alla salute fisica e mentale degli abitanti.
E emerge anche un altro dato importante: il debito ecologico terrestre mondiale capita, nonostante noi, il 2 Agosto, solo grazie a paesi come la Jamaica (seguita dall’Ecuador, Indonesia e Cuba).
Dunque si dovrebbe compiere a livello globale, uno sforzo maggiore per trovare il giusto equilibrio tra felicità (vera) e impatto ambientale: una sfida che ritengo molto più semplice, umanamente parlando, di quanto possiamo credere.
Per rimanere su argomenti a noi vicini, rimpiangiamo tutti i bei tempi in cui la semplicità ci riempiva le giornate; notiamo tutti nei social la commozione di fronte ai contenuti nostalgici di un’epoca che sembra, purtroppo, non voler tornare più. E non è un caso. La felicità risiede davvero nelle piccole cose, basate sulla semplicità, i rapporti sociali (veri) e il contatto con la natura.
In conclusione, sì sarebbe bello far propri stili di vita compatibili con l’habitat circostante, il mondo intero e soprattutto con noi stessi; tuttavia non sto qui a sostenere o a decidere quale sia il modello migliore, né a volerlo imporre a priori; perché come affermo dall’inizio, ognuno potrebbe condurre tranquillamente la vita che ritiene più congrua, a patto di rivedere un po’ la scala dei valori e dei consumi. Alimentari su tutti.
In merito, se mi è concesso, consiglio caldamente la lettura di un libro speciale, uscito dalla penna del mio caro compagno di avventure, Giampaolo Gentili: SI DEVE FARE – Come e perché cambiare vita salverà il mondo!
Mai come ora ci serve una buona rivoluzione; personalmente è tutto ciò che desidero dalla vita!
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Grazie


Mamma mia Basak,
è raccapricciante leggere un articolo come questo… ma è tremendamente reale. Purtroppo la consapevolezza di questa traiettoria è probabilmente molto bassa o in ogni caso la tendenza è quella di chiudere gli occhi… quando sarebbe piu attualbile se venisse dall’educazione,.. invece dall’educazione viene tutt’altro… al tempo stesso credo che l’autoconsapevolezza e quella acquisita grazie anche a persone come te e Giampaolo, sia in crescita…
Grazie Alessio, per aver letto e apprezzato il mio lavoro. E ancora grazie per avermelo fatto sapere
Tu che ci conosci bene, sai che ogni cosa scritta qui passa dall’esperienza diretta.
E si per favore condividete e diffondete, è l’unica cosa (e non è poco) da poter fare
Come sempre chiara e dettagliata…..illuminante. Dati alla mano è più facile “vedere” e “fare vedere”. Come sai abbracciamo in toto la filosofia del “di può…e SI DEVE FARE”, e con questo articolo si può diffonderla meglio, certi che il vero cambiamento possa partire dal singolo. Purtroppo il panorama umano è sempre più scoraggiante, sono sempre meno coloro cui indirizzare questi articoli sperando in una presa di coscienza…..ma intanto noi “partiamo da tre”, per parafrasare un noto film ….e 3 può essere il numero di un nucleo familiare, le 3 R, il numero degli Amici cui indirizzare il tuo articolo….. L’importante è “Partire”…..
Caro Simone, sono ben felice che tu abbia apprezzato il mio articolo e grazie per avermelo fatto sapere
Mi piace molto l’allegoria che hai usato riguardo ai 3❤
E grazie ancora per aver condiviso questo piccolo vademecum: più siamo, più forti saremo
Un abbraccio a te e alla tua cara famiglia
Başak
Oltre a tutto l’articolo, ho apprezzato il paragone con la Jamaica.
Quanti di noi non hanno pensato di viverci, anche solo per qualche anno?
Nelle grandi città si spreca tanto cibo e risorse, è vero, ma anche in Italia stanno aumentando le disuguaglianze perché i poveri lo sono diventati ancora di più, quindi non esiste affatto una equa distribuzione delle risorse.
Come hai ben spiegato, oltre all’agricoltura, nel mondo c’è un elevatissimo consumo di acqua per la produzione di cotone o altre fibre (per non parlare delle fibre sintetiche, che inquinano per essere prodotte e mai smaltite davvero…) per l’industria dell’abbigliamento.Non so se la gente se ne rende conto, ma comprare di continuo per poi gettare i capi dopo averli usati qualche volta, ci sta portando a peggiorare un disastro ambientale già in atto. In quale Paese del Sudamerica esiste una discarica enorme dove arrivano tutti gli abiti dismessi dall’Europa? E così è avvenuto con i computer, con i televisori… finiti in Sudafrica!
È uno sviluppo scellerato, che ci sta portando all’autodistruzione, purtroppo, mentre l’Italia adesso non riesce ad investire per nulla nelle energie rinnovabili, la famosa transizione ecologica che il governo Conte aveva iniziato!
Ciao Rosaria,
grazie per aver letto e voluto commentare un articolo a mio parere così cruciale.
Condivido le tue osservazioni, in effetti meritano di essere discusse. Io per motivi di spazio mi sono limitata al mio settore, ma la nostra povera “barca” fa acqua da diverse parti, se non da tutte le parti.
Possiamo combattere la nostra avidità solo con la giusta informazione e volontà di cambiare la rotta.
Grazie per far parte della soluzione e non del problema
Başak